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Mi sveglio con un sorriso soddisfatto, sapendo che tu, il mio adorato fidanzato, hai passato la notte accovacciato ai miei piedi. Non dev’essere stato comodo, vero? Ogni tanto, nel sonno, ti ho stuzzicato, spingendo il mio piede contro la tua bocca. Un premio, lo so, perché anche se ti fa tremare di desiderio, ti calma. Ma il tuo cazzetto, chiuso in quella gabbietta d’acciaio da giorni, deve pulsare di frustrazione. Lo sento, sai? Quel dolore sordo che ti ricorda chi comanda. Io sono Barbara, la tua fidanzata, la tua dea, la tua padrona. E tu… tu sei il mio servo devoto, pronto a venerarmi. Oggi è un giorno come tanti altri, ma ogni momento è un’occasione per riaffermare il mio potere su di te. Sei pronto a servirmi, vero?
Siamo a casa nostra, e l’aria è carica della mia autorità. Mi muovo con grazia, indossando solo un reggiseno nero che abbraccia il mio seno perfetto e un paio di mutandine di pizzo che accennano alla mia fica, nascosta ma sempre al centro dei tuoi pensieri. Tu, invece, sei nudo come un verme, come piace a me. L’unica cosa che indossi è quella gabbietta che imprigiona il tuo cazzetto flaccido, un simbolo della tua sottomissione. Ti ho detto che non te la toglierò mai… o forse tra un anno, quando sarà così atrofizzato da non servire più. Non è divertente pensarlo? Eppure, tremi di eccitazione all’idea.
Ti osservo mentre ti muovi in cucina, il tuo corpo snello che si tende per prepararmi la colazione. Hai imparato bene il tuo ruolo, e la vista dello yogurt magro con mandorle e del caffè fumante sul tavolo mi strappa un sorriso. “Bravo,” dico, accomodandomi con un movimento lento, lasciando che i miei occhi ti accarezzino. Tu sei in piedi, pronto a servirmi, e senza bisogno di parole, il mio sguardo ti ordina di agire. Mi versi il caffè, disponi lo yogurt con cura, ogni gesto intriso di devozione. Ma poi… cos’è questo? Ti stai versando del caffè? Il mio sorriso si spegne, sostituito da un’ombra di disapprovazione.
“Chi ti ha dato il permesso di bere il caffè?” dico, la voce calma ma tagliente come una lama. I tuoi occhi si spalancano, e il tuo corpo si irrigidisce. “Vedi, ogni tanto dimentichi chi sei. Per fortuna, ci sono io a educarti.” Inclino la testa, un gesto che ti fa capire cosa sta per succedere. “In ginocchio. Sotto il tavolo. Ora.” Non aspetto una risposta. So che obbedirai. Scivoli sotto il tavolo, il pavimento freddo contro le tue ginocchia, e ti posizioni tra le mie cosce. “Voglio che il tuo naso sfiori la mia fica,” ordino. “Sfiorala, non toccarla. Chiaro?” Sento il tuo respiro tremare mentre ti avvicini, il calore del tuo viso così vicino al pizzo delle mie mutandine, il profumo della mia fica che ti inebria. Il tuo cazzetto tira nella gabbia, vero? Che peccato che tu non possa fare nulla.
Ho voglia di giocare. “Resta immobile,” dico, e con un movimento rapido, ti colpisco le palle con un calcetto leggero ma deciso. Trattieni un gemito, ma il tuo corpo sussulta. “Ho detto immobile,” ripeto, e altri calcetti seguono, un ritmo che ti umilia e ti eccita allo stesso tempo. Ogni colpo è un promemoria: sei mio, e il tuo piacere non conta. “Bravo, tesoro,” sussurro, soddisfatta, mentre il tuo viso resta fermo, il naso che sfiora la mia fica, il tuo mondo ridotto al mio controllo.
Poi, il suono del campanello rompe il silenzio. “Oh, che sbadata,” dico con un sorriso malizioso. “Doveva venire un amico.” Mi alzo, lasciando che il tuo cuore acceleri. Non ti ho dato il permesso di muoverti, e so che resterai lì, in ginocchio, in attesa. Apro la porta e accolgo Cristian, un uomo nero alto e imponente, la sua tuta grigia che non nasconde il rigonfiamento del suo cazzo, un contrasto umiliante con la tua gabbietta. “Ciao, benvenuto,” dico, guidandolo verso il divano. Dal soggiorno, la sua voce profonda ti raggiunge. “Ciao, Barbara,” dice, e io rido. “Quasi dimenticavo che dovessi venire. Educarlo è un lavoro, sai?”
“Maritino, vieni qui!” chiamo, la voce intrisa di divertimento. “A quattro zampe, ovviamente.” Ti muovi, il tuo corpo nudo che striscia sul pavimento, ogni passo un atto di sottomissione. Entri nel salotto, e i nostri occhi ti accolgono: io, seduta accanto a Cristian, e lui, che ti osserva con un ghigno. “Lo stai educando bene,” dice, e io annuisco. “Si è migliorato, ma deve accettare di essere il mio servo, il mio oggetto. Deve vivere solo per me.” Le parole ti colpiscono, ma so che ti eccitano. Tremi, e il tuo cazzetto preme contro la gabbia, inutile e prigioniero.
“Togli le scarpe al nostro ospite,” ordino, e tu obbedisci, lo sguardo basso, le mani che tremano mentre slacci le sue sneakers. “Bravo,” dico, la voce dolce ma inflessibile. “Ora bacia i suoi piedi.” I tuoi occhi si alzano, incerti, e io sorrido. “Lo so, non hai mai servito nessuno tranne me. Ma la tua educazione deve continuare, tesoro. Sei nato per questo. Bacia e lecca i suoi piedi. Ora.” Non hai scelta. Le tue labbra si posano sulla sua pelle, la lingua che scivola tra le dita, e ogni movimento è un’umiliazione che ti lega ancora di più a me. “Bravissimo,” dico, mentre Cristian ride. “È un bravo fidanzatino cuck, che dici?” “Per ora sì,” risponde lui, “anche se mi fa un po’ di solletico.”
“Solletico?” dico, alzando un sopracciglio. La mia mano scatta, afferrando le tue palle e stringendo forte. Trattieni un lamento, ma continui a leccare, più delicato, più attento. “Va meglio, Cristian?” chiedo, e lui annuisce, divertito. “Puliscimi bene i piedi,” aggiunge, e tu obbedisci, il tuo mondo ridotto a quel compito umiliante. Mentre stringo le tue palle, mi sporgo verso Cristian, e le nostre labbra si incontrano in un bacio profondo, appassionato. Sento il tuo sguardo su di noi, e questo mi eccita ancora di più. Sei in ginocchio, a leccare i piedi del mio amante, e io sono al centro di tutto.
“Lo stai addestrando bene, il verme,” dice Cristian, rompendo il bacio. “È sempre stato così bravo a leccare i piedi?” Io rido, accarezzandoti la testa come si fa con un animale domestico. “Ci ho lavorato tanto. All’inizio si ribellava, ma la gabbia lo ha trasformato. È il mio oggetto perfetto, sempre al mio servizio.” Le nostre risate riempiono la stanza, ma so che tu non ti senti solo umiliato. C’è orgoglio in te, l’orgoglio di essere mio, di essere utile.
Lentamente, mi spoglio, rivelando il mio corpo perfetto: il seno sodo, i capezzoli turgidi, la curva dei fianchi che porta alla mia fica, ancora nascosta dal pizzo. Cristian segue il mio esempio, e quando i suoi pantaloni cadono, il suo cazzo si erge, lungo, spesso, potente. “Guarda,” dico, indicando. “Questo sì che è un cazzo. Vedi la differenza con quel coso che hai tu?” Tu annuisci, il tuo cazzetto che tira inutilmente nella gabbia. Ci sdraiamo sul divano, i nostri corpi che si intrecciano, le sue mani che esplorano la mia pelle mentre tu continui a leccare i suoi piedi. Poi passo ai miei, e la tua lingua si sposta, assaporando la morbidezza dei miei piedi curati, ma con il retrogusto di quelli di Cristian ancora in bocca. È umiliante, vero? Eppure, ti eccita.
“Fidanzatino mio,” dico, mentre Cristian mi bacia il collo. “Ce l’hai duro ora?” Annuisci, la lingua ancora sul mio alluce. “Bene. Prova a scoparmi.” So che non puoi, e il tuo sguardo confuso mi fa ridere. Ti posizioni dietro di me, ma la gabbia ti impedisce tutto, lasciandoti a strofinarti contro di me, frustrato, impotente. “Guarda, non riesce nemmeno a toccarmi,” dico, e la mia risata ti brucia e ti eccita. Cristian prende il tuo posto, il suo cazzo che mi penetra con un movimento fluido, potente. Ogni spinta mi fa gemere, il piacere che mi travolge mentre tu guardi, sdraiato sotto di me sul divano, il mio seno che dondola a pochi centimetri dal tuo viso, intoccabile.
“Non sarai mai più in grado di scoparmi,” ansimo, mentre Cristian mi sbatte. “Per questo ci vuole un vero uomo.” Il piacere mi travolge, e quando Cristian viene, estrae il preservativo pieno di sperma e te lo poggia sul viso. Il liquido caldo cola sulla tua pelle, e io rido, divertita dallo spettacolo. “Ora puliscimi,” ordino, e tu obbedisci, la tua lingua che scivola sulla mia fica, leccando via ogni traccia del piacere di Cristian. Lui ti osserva, soddisfatto, mentre io mi abbandono sul divano, appagata.
“Bravo, fidanzatino mio,” sussurro, accarezzandoti i capelli. “Stai imparando. Puliscimi bene… bravo.” Sei mio, completamente, e ogni tuo gesto lo dimostra. Oggi sono soddisfatta, ma domani… domani troverò nuovi modi per ricordarti chi comanda.
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