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Il soggiorno era immerso nel ronzio dell’aspirapolvere, un sottofondo monotono che si mescolava al calore opprimente di quella giornata estiva. Barbara, ventotto anni, capelli castani raccolti in una coda disordinata, si muoveva con grazia disinvolta, il corpo avvolto in una maglietta nera aderente e un paio di pantaloncini rosa chiaro che accarezzavano le sue curve come una seconda pelle. Ogni tanto, chinandosi per raggiungere un angolo, il tessuto si tendeva sul suo sedere tondo, simile a una pesca matura, e lei lo sapeva: sentiva il tuo sguardo su di sé, anche se facevi finta di essere assorto nel telefono, con la televisione che borbottava in sottofondo.
Eri seduto sul divano, la casa vuota – tua moglie al lavoro, il silenzio interrotto solo dal rumore delle pulizie. Ogni tanto alzavi gli occhi, e Barbara lo notava, un sorriso malizioso le sfiorava le labbra mentre continuava a lavorare, fingendo indifferenza. Il caldo era insopportabile, l’aria pesante. Si fermò un attimo, il petto che si alzava e abbassava per riprendere fiato. “Scusi, prendo un bicchiere d’acqua, altrimenti svengo,” disse con una risatina, dirigendosi verso la cucina. Il rubinetto gorgogliò mentre riempiva il bicchiere, e il suono dell’acqua fresca che scorreva sembrava un invito. Bevve a lunghi sorsi, un rivolo le scivolò lungo il mento, scintillando sulla pelle accaldata. “Aaah, che buona,” mormorò, quasi a se stessa.
Quando si voltò, eccoti lì, a pochi passi da lei, fermo sulla soglia della cucina. Il suo cuore fece un balzo. “Oh! Non si preoccupi, finisco subito,” disse, abbassando lo sguardo, un po’ a disagio. I suoi occhi castani catturarono i tuoi per un istante, poi si ritrassero. Un silenzio elettrico si insinuò tra voi, rotto solo dal ronzio lontano dell’aspirapolvere dimenticato in soggiorno. Barbara ti sorrise, un gesto timido, e tornò al lavoro, le guance leggermente arrossate. “Fa caldissimo oggi, vero? Vorrei finire entro mezzogiorno per evitare il peggio,” disse, cercando di mantenere un tono leggero mentre spolverava una mensola, dandoti le spalle.
Ma poi lo vide – o meglio, lo intuì. Un fruscio, un movimento. Quando si girò appena, il suo respiro si spezzò. Eri lì, in piedi, con addosso solo le mutande. Il suo sguardo saettò verso di te, poi si ritrasse subito, imbarazzato. “Oddio,” mormorò, stringendo la scopa. “Signore, che fa? La prego, si rimetta… almeno le mutande!” La sua voce tremava, un misto di vergogna e incredulità. Ma tu ridesti, un suono basso, sfacciato, che le fece vibrare qualcosa dentro. E poi, senza preavviso, ti togliesti anche quelle. Barbara spalancò gli occhi, il viso in fiamme. “No, davvero, non è il caso!” protestò, ma il suo corpo tradiva il suo pudore: un calore umido le saliva tra le cosce, un’onda di eccitazione che la confondeva.
“Non hai mai visto un uomo nudo?” chiedesti, con quel tono che era insieme un ordine e una provocazione. Lei scosse la testa, il cuore che le martellava nel petto. “La prego, non dica queste cose… sono qui solo per pulire.” Ma il tuo sorriso non vacillava, e il suo imbarazzo si mescolava a un desiderio che non voleva ammettere. Continuò a muoversi per la stanza, goffa, senza più sapere cosa stesse facendo, quando all’improvviso la tua presenza si fece più vicina. Troppo vicina. Le tue braccia la avvolsero da dietro, il tuo corpo nudo contro il suo, il tuo membro duro che premeva contro i suoi pantaloncini. Barbara si irrigidì, il respiro corto. “Non dovremmo… è sbagliato,” sussurrò, ma il suo corpo si stava arrendendo, traditore, a quell’onda di piacere che la travolgeva.
Le prendesti la mano, e lei cercò di ritrarsi. “No, la smetta, sono seria!” Ma la tua determinazione era un fuoco che la consumava. “Non ho mai… con un uomo sposato, intendo,” mormorò, abbassando lo sguardo, le guance rosse come brace. Poi la tua voce, autoritaria, spezzò ogni sua resistenza. “Spogliati.” Barbara esitò, il cuore in gola. “Non voglio… mi vergogno,” disse, ma le sue mani, come mosse da una forza estranea, iniziarono a obbedire. La maglietta cadde a terra, rivelando un reggiseno semplice che conteneva a stento il suo seno sodo. I pantaloncini rosa scivolarono giù, lasciandola in mutandine bianche. Si coprì con le mani, tremando. “Mi vergogno del mio corpo,” sussurrò, ma i tuoi occhi la divoravano, e lei lo sentiva.
“Pulisci così. Nuda,” ordinasti. Lei spalancò gli occhi, il viso in fiamme. “Nuda? Oddio…” Ma c’era qualcosa nella tua voce, nella tua sicurezza, che la spingeva a cedere. Si tolse le mutandine, esponendo la pelle pallida e tremante. Prese uno straccio e iniziò a pulire il pavimento, il suo sedere rotondo che si muoveva lentamente, sapendo che non le toglievi gli occhi di dosso. “Ti piace il mio culetto?” chiese, con un filo di voce, oscillando appena i fianchi per provocarti. L’aria fresca le accarezzava la pelle nuda, e il tuo sguardo era un peso che la eccitava e la umiliava allo stesso tempo. Vide il tuo membro, duro, che si muoveva sotto la tua mano, e un liquido caldo le colò timido lungo le cosce, tradendo la sua eccitazione.
“Inginocchiati,” ordinasti, e lei scosse la testa, sconvolta. “No, la prego, non posso… è troppo!” Ma le tue mani forti la guidarono, e lei si ritrovò in ginocchio, il tuo corpo torreggiante sopra di lei. “Leccami le palle,” dicesti, e Barbara esitò, il viso a pochi centimetri dalla tua pelle. La sua lingua sfiorò la tua carne calda, leggermente sudata, il sapore salato che le invadeva i sensi. “È strano… ma sono eccitatissima,” mormorò, la voce rotta dal desiderio e dalla vergogna. La consistenza ruvida, i peli, tutto la faceva sentire sporca, ma non riusciva a fermarsi.
Poi, senza preavviso, le ordinasti di succhiartelo. “Non so se ci riesco… è troppo grosso,” protestò, ma la sua bocca si avvicinò, la lingua accarezzò la punta del tuo membro, il sapore acre che le stordiva i sensi. “Senti la mia lingua calda sul tuo cazzo?” chiese, incerta, mentre lo prendeva in bocca, la gola che si stringeva intorno alla tua cappella. Tossì, il respiro spezzato, ma continuò. “Mi piace troppo… se sbaglio qualcosa, dimmelo,” disse, la saliva che scivolava mentre lo ingoiava fino alla base, il naso schiacciato contro il tuo pube. “È così bello sentirsi la tua troia,” gemette, persa nel piacere.
Ma non ti bastava. “Leccami il culo,” ordinasti, e lei si ritrasse, terrorizzata. “No, per favore, non quello… è troppo umiliante!” Ti implorò, ma la tua forza la piegò. La sua lingua sfiorò il tuo ano, un sapore terroso e intenso che la fece rabbrividire. “Non capisco più nulla,” sussurrò, la vergogna che si mescolava al piacere mentre la sua lingua strofinava ripetutamente, il tuo odore che la confondeva.
Poi, un cambio di scena. “Lava i piatti,” dicesti, e lei ti guardò, confusa. “I piatti? Ora?” Ma prese la spugna, l’acqua che le bagnava le mani mentre iniziava a strofinare. Sentì il tuo corpo dietro di lei, e capì. “No, non qui… non mentre lavo!” protestò, ma tu la penetrasti, e un gemito le sfuggì dalle labbra. “Continua a lavare,” ordinasti, e lei obbedì, le mani che tremavano sui piatti mentre il tuo membro la riempiva, scivolando dentro con forza. “Sento il tuo cazzo che mi scopa… mi fa impazzire,” gemette, il ritmo dei tuoi colpi che la portava al confine della ragione. “Non ce la faccio a concentrarmi,” piagnucolò, ma continuò, il piacere che la travolgeva.
All’improvviso, ti ritraesti. “Tira fuori la lingua,” ordinasti, e lei esitò, il viso arrossato. “Non voglio… mi sento una troia,” mormorò, ma aprì la bocca. Il tuo sperma caldo le schizzò sulla lingua, un sapore salato che la colpì come un’onda. “È troppo… ma lo bevo,” disse, ingoiando con avidità, leccandosi le labbra mentre il suo viso bruciava di vergogna e piacere. “Mi sto godendo il tuo seme,” ammise, la voce tremante.
Ti rivestisti, il tuo sguardo fermo su di lei. “Continua a pulire, e non dirlo a nessuno,” dicesti. Barbara annuì, ancora nuda, il corpo scosso da fremiti. “Va bene… sarà il nostro segreto,” mormorò, tornando alla scopa, il cuore che le martellava nel petto. Il profumo del tuo corpo era ancora sulla sua pelle, un ricordo bruciante di quella trasgressione.
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